sabato 29 marzo 2014

La Settima Foto

Ogni volta che ci svegliamo la mattina non possiamo sapere che cosa ha in serbo per noi la vita.
Ma io trovo che il bello risieda proprio nella scoperta ed è incredibile come lo scorrere delle ore possa decidere se quella sarà una giornata qualunque, noiosa, monotona, una giornata orribile, grigia, triste oppure una giornata meravigliosa, emozionante, costruttiva.

E’ la mattina del Sabato 22 Marzo 2014, mi sveglio stanco ed è mattina presto.. devo correre al lavoro. Inizia così una mattinata in radio, con le tante mansioni a cui devo rispondere in questo periodo e le tante soddisfazioni che ne derivano.
La mattina prendo la solita colazione giù al bar, faccio la solita chiaccherata con la mia giornalista e poi lavoro duramente fino al pranzo, che consiste in un trancio della pizza del Pizza e Caffè (spettacolare al trancio) ed una Coca Cola.
Corro quindi a casa a farmi una doccia, ne avevo davvero bisogno per come mi sentivo: stanco.
L’acqua, come qualsiasi elemento naturale, è per me rigenerante al massimo.
Una volta pronto, bevo un bicchiere d’acqua, saluto i miei e salgo in macchina: direzione Padova, Mostra fotografica…

Il marciapiede della stazione di Padova scorre sotto i miei piedi, è grigio, proprio come il mio umore e la mia giornata fino in quel momento.
Il grigio non riesco proprio a definirlo un colore, non lo trovo per niente caratterizzante, preferisco di gran lunga chiamare colori il nero o il bianco, almeno simboleggiano qualcosa di forte e di intenso.
Il bene, il male, la luce, il buio, la vittoria, la sconfitta.
Possiamo ricondurli a migliaia di significati, ma tutti in totale contrasto.
E se vi chiedessi “Avete mai pensato di trovare il medesimo significato per entrambi? Fondendoli così in un concetto unico?” voi a cosa pensereste?
Io non ne avevo assolutamente idea, ma dopo 5 minuti di cammino eccoci arrivati alla mostra, ed è qui che ho trovato la mia risposta: penserei alla fotografia in bianco e nero.

Mi trovo ora in una chiesa sconsacrata, il tema della mostra è “Feel the land”, ovvero percepire la terra, e camminando lentamente fra i vari lavori esposti è stato abbastanza facile accorgermi che, come in tutte le cose, ognuno ha il suo personale punto di vista.

Lo ammetto, non ci trovo chissà quale gusto ad esser qui, la fotografia non l’ho mai apprezzata più di tanto, trovo insensato perdersi alcuni attimi ed emozioni di una vacanza o di qualsiasi altra situazione per scattare una foto, non mi interessa ricordarmi in futuro di quello che sta avvenendo adesso, voglio solo gustarmelo ORA fino in fondo, con tutta la mia persona, perché il Simo del futuro chissà dove sarà e chissà come rivivrà il mio attuale presente. No, non mi interessa.
Per di più trovo noioso poi osservare fotografie di bellissimi paesaggi, se voglio vedere un bel paesaggio metto gli scarponi ai piedi e vado sul Monte Baldo a farmi una bella passeggiata, di certo non mi faccio venire il sangue amaro nel guardare una foto pensando:”Perché non posso essere lì?”.
Però c’è una parte di fotografi che guardo con ammirazione:
quelli che vivono la fotografia con filosofia;
quelli che in un solo istante impresso vorrebbero intrappolare l’infinito;
quelli che spendono denaro ed energie per coltivare la loro passione.

Con passo lento arrivo così in fondo alla chiesa, all’ultimo workshop, ultimo come posizione, ma non come importanza.
Mi trovo davanti a 7 fotografie, tutte in bianco e nero, 6 di queste con un elemento in comune, una dominanza del colore bianco sullo sfondo della foto ed una concentrazione di nero per quanto riguarda il soggetto, una ragazza. Che sia forse un caso?
 “Ho voluto considerare il progetto con un’accezione negativa, piuttosto che positiva, come farebbe la maggior parte delle persone.”
Queste sono le prime parole spiazzanti del fotografo, il quale comincia a esporre la sua creazione.
Dentro me ho capito di aver ragione, la ragazza sembra quasi squarciare la carta stampata, il suo contrasto così netto con lo sfondo rende la foto viva, angosciante, ma viva.
Si, perché la prima emozione che mi ha raggiunto è stato proprio un senso di angoscia, di smarrimento, di incomprensione.
Le 7 foto sono disposte in orizzontale, quasi ci fosse un filo sottile ad unirle, infatti la spiegazione del fotografo comincia a danzare su questo filo, partendo dalla prima, per concludersi all’ultima.
Per la prima volta mi sono ritrovato a guardare delle foto il cui loro unico servigio era quello di metafore, ovvero di esprimere una sensazione, un’emozione, un concetto.
Ed il fotografo è stato il maestro che le ha dirette per questo, come in un rapporto carnale di amore, in cui i due innamorati si dirigono a vicenda per raggiungere il sogno che possiedono in comune.
Al contrario degli altri fotografi che cercano di intrappolare in un istante l’infinito, mi sento di dire che lui ha trovato il modo di rendere il momento dello scatto vivo e libero in eterno.
Dico questo perché la foto secondo me diventa viva solo nel momento in cui chi la osserva rimane immobile, al contrario dei suoi pensieri che non si fermano un secondo, perché non riescono a capire cosa sta succedendo dentro di lui a livello emotivo. Eppure qualcosa sta sentendo…

Mi sento di doverla ringraziare questa persona, primo per avermi fatto provare sulla pelle che il potere della fotografia è molto più grande di quello che si possa immaginare.
Secondo per avermi fatto riflettere su un concetto molto importante, ovvero che c’è qualcosa di molto più grande ed astratto di noi e dei nostri pensieri, qualcosa a cui non basta un solo giorno di attenzione per essere compreso, ma necessità di molto, molto, molto tempo e dedizione, forse tutta una vita.
Terzo perché è stato bello pensare a qualcosa che non avevo mai preso in considerazione ed è stato molto emozionante ritrovarmici.

Ad ogni modo, c’è una delle 7 foto di cui non ho ancora parlato.
Io l’ho chiamata “la settima foto”, ma in realtà era quella posta esattamente in centro, nel mezzo del percorso.
La foto è un primo piano della ragazza distesa, un primo piano che mi ha messo in forte disagio per l’intensa presenza di tinte nere e lo sguardo fisso su chi la osserva.
E’ una foto molto particolare, che mi ha fatto capire dove io sia arrivato nel mio sentiero.

Una cosa è certa: ci vuole coraggio nel fissarsi dritti negli occhi.